5 domande a Luca Giordano: Intervista a un inventore di storie che gira il mondo a caccia di personaggi.

"Qui non crescono i fiori" primo romanzo di Luca Giordano pubblicato da Isbn Edizioni di Milano.
“Qui non crescono i fiori” primo romanzo di Luca Giordano pubblicato da Isbn Edizioni di Milano.

“I paesini arroccati del Chiapas e i visi sempre seri dei messicani. I randagi che ci stanno a Tehotiuacan. Il sudore. Ecco, quei posti mi hanno dato tantissimo in termini di descrizione. E ne ho approfittato…” (Luca Giordano*)

Il tuo primo libro è davvero un ottimo libro. Non perfetto, certo. Sei così giovane che sono sicuro avrai tempo per perfezionare il talento che già esiste. Pensi di voler continuare a raccontare storie anche attraverso i libri?

Credo proprio di sì. Ho iniziato a lavorare a un paio di storie e devo capire bene quale può interessarmi di più, quale tra le due sono in grado di scrivere meglio. Per ora sono solo embrioni. Probabilmente nessuno dei due diventerà un romanzo perché troverò una terza idea ancora migliore. Sono a quel punto in cui ancora non lo posso capire. Se poi dovessi cominciare a scrivere con più continuità per il cinema sarei solo contento, ma l’importante è raccontare storie che mi piacciono. Continuerò e, poco per volta, spero, riuscirò a migliorare fino alla perfezione. (Questa è una specie di minaccia.)

Di mestiere fai lo sceneggiatore. Che differenza c’è fra pensare per immagini e pensare per costrutti linguistici come quando scrivi in prosa?

Nonostante spesso inizi a scrivere pensando per il cinema, anche solo per avere una struttura solida e delle scelte ben precise, tra i due tipi di scrittura le differenze ce ne sono eccome. Più che altro, per quanto mi riguarda, anche se questo libro è piuttosto visivo, in un romanzo hai più libertà di divagare, di soffermarti su particolari che nella scrittura cinematografica puoi benissimo lasciare da parte. Hai meno regole. Nella maggior parte dei casi non scrivi nemmeno da solo, ma insieme a registi o altri colleghi. Devi fare scelte che siano fattibili per la messa in scena, magari per il gusto del produttore che ti dice che ci sta Raoul Bova anche se tu hai scritto un personaggio sessantenne. Poi, ovvio, una delle cose che hanno in comune è che se vuoi scrivere una cosa buona in entrambi i casi devi faticare, rischiare, essere pronto a fallire. Magari anche ricominciare da capo. 

La tua brevissima biografia dice che vivi a Torino. Però racconti benissimo il sud… ti andrebbe di dirci se ci sei stato o se prendi spunto dai libri che leggi e dai film che vedi?

Ho vissuto a Torino fino a vent’anni, ho sopportato Roma per gli ultimi otto e ora torno a casa. Sono stato in Sicilia per un paio di viaggi ma nulla più. Quindi sì, libri e film mi hanno enormemente aiutato a formare l’immaginario che è alla base di Qui non crescono i fiori. Leggere, leggere tantissimo, può solo aiutare chi scrive. Guardare tanto cinema, uguale. Poi ho fatto ricerche specifiche sull’isola in cui è ambientato ma, probabilmente, una delle cose che più mi hanno aiutato sono stati due viaggi che ho fatto negli ultimi anni. Un viaggio in solitaria in Messico e i mesi passati in Australia. Alcuni luoghi, gli odori, il calore del deserto di quei posti e le piogge improvvise che mi sono beccato nella campagna attorno a Sydney. I paesini arroccati del Chiapas e i visi sempre seri dei messicani. I randagi che ci stanno a Tehotiuacan. Il sudore. Ecco, quei posti mi hanno dato tantissimo in termini di descrizione. E ne ho approfittato. 

Parlaci, se ti va, di qualche tuo lavoro in uscita. O in preparazione. Senza svelare troppo, ovviamente!

Da qualche giorno abbiamo ricevuto l’ufficialità che il primo lungometraggio che ho scritto sarà in concorso a Venezia, nella sezione orizzonti. E’ il film di diploma del Centro Sperimentale, mio e di gran parte della troupe. La regia è di Enrico Maria Artale, e l’ho scritto insieme a lui e Francesco Cenni, uno dei giovanissimi nostri insegnanti che ha deciso da subito di partecipare al progetto. S’intitola Il terzo tempo, ed è la storia di un giovane che, uscito dal carcere minorile e nonostante i primi scontri con il proprio assistente sociale, trova nel rugby la possibilità di un riscatto che non si sarebbe mai sognato. E’ un esordio quasi per tutti, per molti attori, per il regista e gran parte dei reparti, quindi la soddisfazione è enorme e ne è uscito fuori un qualcosa che ho come l’impressione possa piacere a molti. Almeno lo spero. Ecco, questo è quello che ho in uscita. Fino a un paio d’anni fa una notizia del genere me la sognavo, quindi mi limito a parlare di questo che di questi tempi è già una gran cosa. 

Non credo alle storie a lieto fine. Forse neanche tu. Se esistono logiche della vita incomprensibili. Perché secondo te molti narratori contemporanei si ostinano a raccontare storie che finiscono sempre in modo romantico ma poco reale?

In realtà alle storie a lieto fine ci credo, e parecchio. Il problema è quando il finale è consolatorio perché conviene e non perché la storia lo richiede. Qui non crescono i fiori non è una storia che poteva finire bene, è un po’ come se Caino ad Abele gli facesse solo un piccolo taglietto sul costato. Abele non muore e son tutti felici e contenti. Adamo ed Eva non lo piangono, Caino è un po’ uno stronzo ma viene perdonato. Dio è tranquillo e pensa ad altro. Ecco, continuando su questo paradosso, forse alcuni narratori si accontentano del taglio sul costato. Queste scelte funzionano dal punto di vista delle vendite, è innegabile, e sono assolutamente convinto che sia giusto così. La maggior parte dei lettori ha bisogno di storie di questo tipo e il mercato deve accontentarli. Insomma, non credo che il problema sia del narratore che si ostina a raccontare storie che finiscono in modo romantico. Credo che la colpa sia quando questo viene fatto per convenienza o per pressione. Io probabilmente continuerò a scrivere storie di questo genere o con finali in cui non si intravede molta speranza ma, ne son convinto, quando troverò la storia giusta, che mi convince fino in fondo e che sarò in grado di scrivere, con un bellissimo lieto fine sarò solo contento. Per ora mi accontento. 

Luca Giordano* è un giovane e bravo sceneggiatore italiano. Come scrittore di prosa ha esordito con il romanzo: “Qui non crescono i fiori” (Isbn edizioni 2013). Per saperne di più sull’autore e leggere un estratto del suo libro:  http://www.isbnedizioni.it/libro/266

© Mario Schiavone per Inkistolio: Storie orticanti. RIPRODUZIONE RISERVATA DEI TESTI.

Abbandonare gli animali non è un reato, è mostruoso!

Unita edicola - Copia

Cari amici lettori, se state partendo per le vacanze (cosa difficile ma possibile) o se state traslocando…o se vi ha lasciato vostra moglie, o vostro marito etc etc…insomma se accade qualcosa di anomalo nella vostra vita NON ABBANDONATE UN ANIMALE IN STRADA. Non solo è reato, ma potreste essere (a vostra insaputa) dei mostri.

La storia (bella) di Attila dimostra che tutto si può risolvere:

http://terranera-mareblu.comunita.unita.it/2013/07/28/attila-un-cane-no-un-familiare/

Buona lettura a tutti voi e buona estate ai vostri amici a quattro zampe!

5 domande a Gianluca Attanasio: storia orticante di un campione Napoletano fuori dal comune!

Olimpiade quotidiane, libro di Gianluca Attanasio e Cinzia Cerasuolo (Ebone Edizioni)
“Olimpiadi   quotidiane” libro di Gianluca Attanasio e Cinzia Cerasuolo (Ebone Edizioni)

“L’Italia è un Paese davvero strano, vero il fatto che i disabili possono essere sia belli che bravi. Ma finché si è davanti alle telecamere o in un dibattito tv, io non credo che siano né belli né bravi, credo siano persone come le altre…” (Gianluca Attanasio*)

Un problema alle anche da piccolo. Il nuoto come terapia. Poi il talento viene fuori davvero e stare in piscina diventa una ragione di vita. Ti andrebbe di dirci a cosa pensavi durante tutta quella fatica?

 Hai centrato bene la domanda, parli di fatica. Credimi è davvero tanta, molta piu’ di quella che si può immaginare. I chilometri percorsi ogni giorno mi danno modo di pensare alle cose più svariate, e proprio pensando alla fatica il pensiero che mi viene spesso è : Se mi viene un infarto??? crepo qui ? La cosa a me fa ridere tanto. Sono molto realista, ma a dire il vero è solo un pensiero,  perché per una persona allenata, dove il cuore ha dato ampia prova di resistenza questo non può accadere. Diciamo che chi mangia, fuma e beve ha molte più probabilità di restare secco di me! Ma aldilà dell’autoironia, quello che conta è conservare la capacità di pensare alle cose belle della vita, alle sfide che ogni giorno troviamo sulla nostra strada.

Con questa storia della disabilità che aiuta, negli ultimi anni, alcuni personaggi assurdi in Italia hanno venduto l’idea che “il disabile” è bello e bravo. Io credo che un disabile, atleta o meno, sia una persona che prova a combattere ogni giorno come combattono tutte le persone normali. Ti andrebbe, in qualità di atleta a tuttotondo ( e non semplicemente “disabile”), di chiarire questa faccenda?

L’Italia è un Paese davvero strano, vero il fatto che i disabili possono essere sia belli che bravi. ma finché si è davanti alle telecamere o in un dibattito tv, io non credo che siano né belli né bravi. Solo persone come le altre che hanno le loro esperienze, le loro invidie e le loro cattiverie da distribuire. Dipende da uno che scelta fa della propria vita, c’e’ chi incanala il dispiacere e la delusione per una vita difficile nella cattiveria e chi nella bontà d’animo. Io mi identifico in questi ultimi, ma credimi, nel mondo dei Disabili ho incontrato tanta cattiveria e invidia e anche tanta indifferenza nei confronti di chi si attiva e lotta per i diritti dei cosiddetti “Deboli”. E’ un discorso complesso che non può essere riassunto, ma andrebbe discusso perché le contraddizioni sono davvero tante. So solo che ogni persona ha il suo modo di vivere la vita, ma su un punto mi trovo in comune accordo con tutti:, ognuno di noi compie la sua Olimpiade ogni giorno della propria vita, chi come me per nuotare ed essere libero e chi invece compie un’Olimpiade per scendere le scale di casa. Io mi ritengo davvero fortunato, ho avuto un’ educazione ottima da mia madre, sono cresciuto con valori sani.

Inkistolio:Storie Orticanti parla di storie fuori dal comune. La tua lo è. Cosa pensi di poter consigliare-considerato che ti sei avvicinato all’attività agonistica a 33 anni conseguendo brillanti risultati- a chi oggi non crede più nello sport?

Diciamo che i famosi 33 anni sono una leggenda metropolitana che gira in rete, in fondo sono un personaggio abbastanza seguito e questo è un fatto davvero strano, di solito i disabili non sono molto seguiti se non per fatti eclatanti di cronaca. Diciamo che io ho stravolto un po’ le regole, ma tornando a noi, la mia risposta è si, io consiglio sempre di fare attività sportiva agonistica, anche nel settore Master che annovera fior fiore di Atleti che hanno lasciato il mondo Agonistico top level.  Chi non crede più nello sport avrà i suoi motivi, aggiungo solo una cosa, bisogna fare attenzione a separare lo Sport al Mondo dello Sport. Quest’ultimo per me è pura gestione di un circo mediatico che spesso usa, consuma e getta via gli esseri umani, poi ci sono coloro che non cadono in questo meccanismo vizioso, sono coloro che io definisco Leggende dello Sport, coloro che hanno lasciato un segno indelebile, che si sono distinti e contraddistinti dai tanti che hanno vinto, hanno conosciuto il successo e sono spariti nel nulla, io con le mie battaglie a tutto tondo spero di essere annoverato nelle piccole leggende non dello sport ma del sacrificio.

Parlaci di una storia sportiva a te cara. Una poco famosa, ma sincera.

Di storie se ne possono raccontare tante, potrei parlarvi di una storia davvero bella che però non ha avuto la fortuna che meritava, è quella del mio allenatore che mi seguiva nel 2008 al Circolo Canottieri Napoli: Alessandro Peluso, definito l’ombra di Rosolino in Vasca. Lui era un vincente, un Ranista davvero forte che però non ha avuto la fortuna di sfondare. Forse lui poteva diventare una leggenda ma è stato consumato da quel sistema vizioso generato dal Mondo Sportivo dove o sei grande e subito o non c’e’ tempo per stare ad aspettare che il Campione venga fuori, Alessandro credo sia uno di questi. Però, per uno come me, lui è Leggenda, l’ho scritto nel libro “Olimpiadi Quotidiane” edito da Ebone Edizioni.  Oggi il mio Coach,così come accadeva ai tempi del Circolo Canottieri Napoli, porta la sua esperienza a bordo vasca. Un giovane tecnico che segue passo passo gli atleti più giovani, e proprio grazie alla sua esperienza è in grado di dare quei consigli davvero utili. Alessandro è un ottimo collaboratore di un gruppo fantastico messo su da Lello Avagnano, ex Finalista Olimpico Los Angeles ‘88, direttore Tecnico del Settore Nuoto della Canottieri Napoli. Ecco questa per me è una storia bella che ho approfondito ponendo al diretto interessato le mie curiosità.

Ultima domanda, di certo non meno importante delle altre: secondo te cosa manca al mondo dello sport di oggi per tornare a essere un mondo “sano” e non un contesto frutto di arrivismo allo stato puro?

Questa è una bella domanda che merita una risposta coraggiosa, sarò caustico e molto cattivo… manca lo spessore morale delle persone, che spesso inseguono il successo per occupare nella società un posto di supremazia e di ricchezza, molti hanno dimenticato i veri valori dello sport, disintegrati dal consumismo e dai soldi che piovono da ogni dove. Nel caso del Nuoto spesso gli atleti puntano ad entrare nei gruppi sportivi militari, per poi affievolirsi, tanto, il risultato del POSTO SICURO è arrivato, ovviamente non tutti sono così, ma credimi tanti lo sono. Quindi mi domando, dove siano finiti quelli che inseguono la sfida, che mettono loro stessi al servizio degli altri, dello stesso sport inteso come valore assoluto. Io, con grande difficoltà sto cercando di infondere questi valori specie con i giovani. Dico loro di essere Umili, disponibili ma spesso i risultati non ci sono, solo pochi hanno quello spessore che li fa essere DIVERSI. Una cosa che ci tengo a dire sempre è che per me lo sport è stato un compagno di viaggio che mi ha permesso di farmi ascoltare, di dare un immagine diversa dei disabili, di certo io non sono stato nè sono il più forte in acqua ma forse il più caparbio e (forse) anche  il Campione delle battaglie civiche, quello si!

Gianluca Attanasio*  è un atleta nazionale di nuoto ed è nato a Napoli il 4 dicembre 1969. Affetto da una malattia alle anche, inizia a praticare il nuoto molto presto e per scopi terapeutici. Si  afferma ai massimi livelli nazionali pur non essendo “nato nell’acqua” come altri campioni della sua categoria.  Entrato a far parte del circuito della FINP (ex CIP) solo nel 2007, ha conquistato dal 2008 ad oggi tre titoli italiani. Nel 2008 diventa campione italiano nei 50 e nei 100 metri stile libero. Nel 2009 conquista il terzo posto nazionale nei 400 stile libero. Poco dopo stabilisce il record nazionale dei 400 stile in vasca corta, laureandosi così campione italiano e  lo stesso anno conquista un oro  che lo porta ai vertici dei Campionati Assoluti Invernali. Nel 2009, il titolo di Ambasciatore per l’Etica e la Cultura Sportiva. Un ottimo campano e una persona simpatica che lotta davvero tanto per questa terra e per lo sport. Tanti raccontano la sua storia, pochi sanno che è campano doc e vive ancora qui. Facendo della sua passione una ragione di vita utile a sostenere chi è meno fortunato.

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© Mario Schiavone per Inkistolio: Storie orticanti. RIPRODUZIONE RISERVATA DEI TESTI.

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