
“I paesini arroccati del Chiapas e i visi sempre seri dei messicani. I randagi che ci stanno a Tehotiuacan. Il sudore. Ecco, quei posti mi hanno dato tantissimo in termini di descrizione. E ne ho approfittato…” (Luca Giordano*)
Il tuo primo libro è davvero un ottimo libro. Non perfetto, certo. Sei così giovane che sono sicuro avrai tempo per perfezionare il talento che già esiste. Pensi di voler continuare a raccontare storie anche attraverso i libri?
Credo proprio di sì. Ho iniziato a lavorare a un paio di storie e devo capire bene quale può interessarmi di più, quale tra le due sono in grado di scrivere meglio. Per ora sono solo embrioni. Probabilmente nessuno dei due diventerà un romanzo perché troverò una terza idea ancora migliore. Sono a quel punto in cui ancora non lo posso capire. Se poi dovessi cominciare a scrivere con più continuità per il cinema sarei solo contento, ma l’importante è raccontare storie che mi piacciono. Continuerò e, poco per volta, spero, riuscirò a migliorare fino alla perfezione. (Questa è una specie di minaccia.)
Di mestiere fai lo sceneggiatore. Che differenza c’è fra pensare per immagini e pensare per costrutti linguistici come quando scrivi in prosa?
Nonostante spesso inizi a scrivere pensando per il cinema, anche solo per avere una struttura solida e delle scelte ben precise, tra i due tipi di scrittura le differenze ce ne sono eccome. Più che altro, per quanto mi riguarda, anche se questo libro è piuttosto visivo, in un romanzo hai più libertà di divagare, di soffermarti su particolari che nella scrittura cinematografica puoi benissimo lasciare da parte. Hai meno regole. Nella maggior parte dei casi non scrivi nemmeno da solo, ma insieme a registi o altri colleghi. Devi fare scelte che siano fattibili per la messa in scena, magari per il gusto del produttore che ti dice che ci sta Raoul Bova anche se tu hai scritto un personaggio sessantenne. Poi, ovvio, una delle cose che hanno in comune è che se vuoi scrivere una cosa buona in entrambi i casi devi faticare, rischiare, essere pronto a fallire. Magari anche ricominciare da capo.
La tua brevissima biografia dice che vivi a Torino. Però racconti benissimo il sud… ti andrebbe di dirci se ci sei stato o se prendi spunto dai libri che leggi e dai film che vedi?
Ho vissuto a Torino fino a vent’anni, ho sopportato Roma per gli ultimi otto e ora torno a casa. Sono stato in Sicilia per un paio di viaggi ma nulla più. Quindi sì, libri e film mi hanno enormemente aiutato a formare l’immaginario che è alla base di Qui non crescono i fiori. Leggere, leggere tantissimo, può solo aiutare chi scrive. Guardare tanto cinema, uguale. Poi ho fatto ricerche specifiche sull’isola in cui è ambientato ma, probabilmente, una delle cose che più mi hanno aiutato sono stati due viaggi che ho fatto negli ultimi anni. Un viaggio in solitaria in Messico e i mesi passati in Australia. Alcuni luoghi, gli odori, il calore del deserto di quei posti e le piogge improvvise che mi sono beccato nella campagna attorno a Sydney. I paesini arroccati del Chiapas e i visi sempre seri dei messicani. I randagi che ci stanno a Tehotiuacan. Il sudore. Ecco, quei posti mi hanno dato tantissimo in termini di descrizione. E ne ho approfittato.
Parlaci, se ti va, di qualche tuo lavoro in uscita. O in preparazione. Senza svelare troppo, ovviamente!
Da qualche giorno abbiamo ricevuto l’ufficialità che il primo lungometraggio che ho scritto sarà in concorso a Venezia, nella sezione orizzonti. E’ il film di diploma del Centro Sperimentale, mio e di gran parte della troupe. La regia è di Enrico Maria Artale, e l’ho scritto insieme a lui e Francesco Cenni, uno dei giovanissimi nostri insegnanti che ha deciso da subito di partecipare al progetto. S’intitola Il terzo tempo, ed è la storia di un giovane che, uscito dal carcere minorile e nonostante i primi scontri con il proprio assistente sociale, trova nel rugby la possibilità di un riscatto che non si sarebbe mai sognato. E’ un esordio quasi per tutti, per molti attori, per il regista e gran parte dei reparti, quindi la soddisfazione è enorme e ne è uscito fuori un qualcosa che ho come l’impressione possa piacere a molti. Almeno lo spero. Ecco, questo è quello che ho in uscita. Fino a un paio d’anni fa una notizia del genere me la sognavo, quindi mi limito a parlare di questo che di questi tempi è già una gran cosa.
Non credo alle storie a lieto fine. Forse neanche tu. Se esistono logiche della vita incomprensibili. Perché secondo te molti narratori contemporanei si ostinano a raccontare storie che finiscono sempre in modo romantico ma poco reale?
In realtà alle storie a lieto fine ci credo, e parecchio. Il problema è quando il finale è consolatorio perché conviene e non perché la storia lo richiede. Qui non crescono i fiori non è una storia che poteva finire bene, è un po’ come se Caino ad Abele gli facesse solo un piccolo taglietto sul costato. Abele non muore e son tutti felici e contenti. Adamo ed Eva non lo piangono, Caino è un po’ uno stronzo ma viene perdonato. Dio è tranquillo e pensa ad altro. Ecco, continuando su questo paradosso, forse alcuni narratori si accontentano del taglio sul costato. Queste scelte funzionano dal punto di vista delle vendite, è innegabile, e sono assolutamente convinto che sia giusto così. La maggior parte dei lettori ha bisogno di storie di questo tipo e il mercato deve accontentarli. Insomma, non credo che il problema sia del narratore che si ostina a raccontare storie che finiscono in modo romantico. Credo che la colpa sia quando questo viene fatto per convenienza o per pressione. Io probabilmente continuerò a scrivere storie di questo genere o con finali in cui non si intravede molta speranza ma, ne son convinto, quando troverò la storia giusta, che mi convince fino in fondo e che sarò in grado di scrivere, con un bellissimo lieto fine sarò solo contento. Per ora mi accontento.
Luca Giordano* è un giovane e bravo sceneggiatore italiano. Come scrittore di prosa ha esordito con il romanzo: “Qui non crescono i fiori” (Isbn edizioni 2013). Per saperne di più sull’autore e leggere un estratto del suo libro: http://www.isbnedizioni.it/libro/266
© Mario Schiavone per Inkistolio: Storie orticanti. RIPRODUZIONE RISERVATA DEI TESTI.
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