5 domande orticanti a Antonio Castagna autore di: “Tutto è monnezza”

Tutto è monnezza-Libro di Antonio-Castagna

“…capire come abbiamo fatto ad arrivare fin lì è invece la condizione indispensabile se vogliamo avere un futuro, altrimenti dopodomani, quando avremo finito di denunciare e di piangere i morti, saremo di nuovo punto e a capo, ciechi e sordi… (Antonio Castagna*)

“Tutto è monnezza” è un bel libro che prova a spiegare davvero cosa accade al ciclo dei rifiuti in Italia. Quando lo hai scritto hai pensato a un lettore ideale?

In realtà il libro un po’ spiega, un po’ si interroga. Io sono un cittadino che ha provato a capirne di più, ma che si ritrova in una sorta di labirinto fatto di cose incomprensibili: perché in Italia ogni Regione calcola la differenziata a modo suo? Perché ogni bacino di raccolta utilizza cassonetti e metodi di raccolta diversi? Tutto questo e altre incongruenze rendono poco credibile tutto il sistema. Nel nostro paese sono ancora tanti a pensare che dopo aver fatto la raccolta differenziata i rifiuti finiscono tutti insieme in discarica. Non è vero, tranne rari casi dove la situazione è particolarmente critica. Però il sistema è talmente ingarbugliato e contraddittorio che a me pare ovvio che ognuno immagini cose diverse. E poi c’è il fatto che le leggi e le regole vanno spesso in senso contrario al buonsenso diffuso. Ad esempio la legge dice che un bene, quando qualcuno ha l’intenzione di disfarsene, allora è di per sé un rifiuto. Però molti di noi hanno fatto esperienza di oggetti trovati vicino ai cassonetti, o lungo le strade, che hanno valore, possono essere recuperati e utilizzati, come è successo spesso a me quando vivevo a Palermo da studente. Per la legge prendere un oggetto ingombrante appoggiato al cassonetto è furto nei confronti del Comune, che ha la responsabilità della raccolta. Capisco le ragioni della legge, ma sperare che un cittadino comprenda regole come questa è veramente difficile. E pensare che l’Italia ha fatto propria nel 2010 una direttiva europea che impone di attivare la “preparazione al riutilizzo”, cioè un sistema agevolato per rimettere in circolazione beni ancora utilizzabili a cui è possibile evitare la discarica. L’Italia ha approvato la legge nel dicembre del 2010, ma mancano i decreti attuativi, e quindi niente preparazione al riutilizzo. Sono solo alcuni esempi, c’è dell’altro e tanti aspetti non li conosco neppure io. Il lettore a cui pensavo e penso è il cittadino mediamente interessato. Il discorso pubblico sui rifiuti è spesso concentrato sui problemi e sulle emergenze. Io ho provato a mostrare come i rifiuti siano una parte normale e inevitabile della nostra esperienza, che vanno trattati come una possibilità, perché se smetti di guardarli come scorie disgustose puoi scoprire che spesso contengono materia che ha valore. La domanda che mi faccio e faccio al lettore è come mai facciamo così fatica a vederli in questo modo.

Qui in Campania -lo dico per esperienza personale- si muore di tumore da tempo. La percentuale dei decessi non cala.  Anche (e non solo) a causa di alcune aziende del nord Italia e del Nord Europa, che hanno seppellito in queste terre materiale tossico di ogni tipo. Lo dicevano in tanti, da anni, nessuno ci credeva. Ora scopro tanti grandi profeti e tecnici ambientali che propongono grandi soluzioni senza mai interpellare la gente comune che qui ci vive. La domanda è: Cosa pensi del problema italiano dei rifiuti accumulati al sud e mai smaltiti?

Penso come dici tu che è un problema italiano, non semplicemente del sud, né del nord. Non abbiamo voluto e saputo guardare e ora che ci accorgiamo il sentimento dominante è di angoscia e rabbia. Abbiamo bisogno di riflettere, non solo di opporci e denunciare. Quello dei rifiuti è un mondo complesso, non possiamo semplificare troppo. E pure rispetto al sistema criminale dei rifiuti, c’è spazio per capirne di più. Denunciare è importante, curare e bonificare fondamentale, capire come abbiamo fatto ad arrivare fin lì è invece la condizione indispensabile se vogliamo avere un futuro, altrimenti dopodomani, quando avremo finito di denunciare e di piangere i morti, saremo di nuovo punto e a capo, ciechi e sordi, pronti a subire soprusi pur di raccogliere qualche briciola di benessere.

Credi davvero che smaltire rifiuti aiuti a vivere in pace anche con la propria anima?

Riusare, riciclare e smaltire sono solo possibilità di trattare i rifiuti. Il punto, credo, è però quello di sapere, capire, conoscere i processi produttivi, conoscere la materia di cui sono fatti gli oggetti. Conoscere significa decidere; se non conosci, qualcuno decide per te e c’è poco da stare in pace.

Che domande ricevi dal pubblico quando presenti in giro il tuo libro?

Le persone che incontro sono interessate a capire di più e meglio le questioni legate alla differenziata. Perché ci siamo abituati a ragionare in questi termini. Io propongo di ragionare in termini di materia, di valore, di possibilità. Ragionare in termini di raccolta differenziata del resto ha poco significato, tanto che le leggi europee, approvate anche dall’Italia, impongono di ragionare in termini di materia recuperata. Perché tu raccogli magari il 70% di plastica (che poi sono plastiche, diverse l’una dall’altra, alcune riciclabili, come il PET con cui sono fatte le bottiglie, altre no, come il polistirene con cui sono fatti ad esempio piatti e bicchieri di plastica, che è di bassa qualità e non vale la pena riciclare, quindi finisce in inceneritore). Dicevo quindi, raccogli il 70% di plastica, ma recuperi meno del 50% di materia, perché una parte di quello che hai raccolto sono scarti, errori dei cittadini, una parte non è comunque riciclabile. In Italia, malgrado le leggi, si continua a fornire un dato, quello della raccolta differenziata, che aveva significato quando si cominciò a raccogliere in maniera differenziata, ma che ora rischia solo di illudere. Un’altra cosa che chiedono è, allora come si fa? Si fa che si impara a sorridere di tutte le contraddizioni, del sistema e di ognuno di noi, e poi ci si dedica a conoscere e saperne di più. Pare poco, perché non è una soluzione pronta, è tanto, perché è la condizione per trovarle le soluzioni. Spero che “Tutto è monnezza”  dia un contributo in questa direzione.

Ti andrebbe di dirci qualcosa sul tuo prossimo libro?

Mi andrebbe se ne avessi in programma uno. Io faccio il formatore manageriale, mi sono avvicinato ai rifiuti lavorando con dirigenti e funzionari della Provincia di Trento che si occupano di rifiuti. Non sono un tecnico, uno specialista, quella che ho provato a raccontare è un’avventura, il tentativo di immergermi in un mondo talmente complesso da essere attraente per quanti risvolti presenta. Ho scritto e realizzato anche dell’altro, ma sempre in maniera saltuaria, nel tempo che mi lascia il mio lavoro e la vita che faccio, che sono sempre in treno a girare da una città all’altra. Nel 2004 ho pubblicato un libro di racconti, Mappumi; nel 2008 ho realizzato un documentario Teatri interrotti (che si trova on line tra l’altro); nel 2012 ho pubblicato un reportage sul lavoro di un gruppo di rovistatori Rom di Torino. Il libro si intitola Il futuro del mondo passa da qui; e ora Tutto è monnezza. Scrivere mi piace, ho anche un blog www.lavorobenfatto.blogspot.it dove mi interrogo sul senso e sul valore del lavoro, perché andando in giro per le aziende ho l’impressione il lavoro per molti (imprenditori, dirigenti, ma anche lavoratori) abbia finito per coincidere con una merce come un’altra. Ma nel lavoro ci sono i desideri, i progetti, i pensieri, dubbi, di persone la cui vita non è riducibile a una funzione. Il ritmo di scrittura dunque dipende molto dal ritmo del mio lavoro. In preparazione ho tante cose diverse, ho cominciato dei racconti, ho cominciato un romanzo, sto ragionando su un saggio, ne ho cominciato un altro. Non ho idea se porterò a termine qualcuno di questi progetti.

Antonio Castagna* è un formatore manageriale, blogger e autore di storie che vive a Torino. Ha pubblicato un libro molto utile che sta facendo un gran “rumore” utile a capire meglio cosa accade (o dovrebbe accadere) ai rifiuti che produciamo: “Tutto è monnezza. La mia dipendenza dai rifiuti”(LiberAria Edizioni).  In questo bel saggio l’autore spiega vita, morte e miracoli del ciclo dei rifiuti: in modo propositivo e costruttivo.

Per comperare “Tutto è monnezza” potete rivolgervi al vostro libraio di fiducia. Se lui non è convinto del nome della Casa Editrice. Se è “pigro” e non vi ascolta,  ditegli che LiberAria Editrice è distribuita da Messaggerie Libri. Capirà al volo di cosa state parlando. Per saperne di più su Antonio Castagna ecco il link del suo blog:

http://www.lavorobenfatto.blogspot.it/

Ps: Considerato che dalle parti di LiberAria Edizioni c’è un gruppo di ragazzi davvero coraggiosi (perchè capaci ancora di  credere nei libri) secondo me, un salto sul loro sito per capire meglio che libri pubblicano dovete farlo!  http://www.liberaria.it/

 

©Mario Schiavone per Inkistolio: Storie orticanti. RIPRODUZIONE RISERVATA DEI TESTI.

 

 

5 domande a Caterina Morgantini, ufficio stampa LiberAria Edizioni

Caterina Morgantini, Ufficio Stampa LiberAria Edizioni
Caterina Morgantini, Ufficio Stampa LiberAria Edizioni

“…molte persone per cui la letteratura è pane quotidiano navigano nella saccenza, nella vanità e nella superficialità…”(Caterina Morgantini*)

Lavori in LiberAria Editrice. Ti andrebbe di dirmi che tipo di storie cercate e quali autori solleticano la vostra voglia di far libri?

Sono entrata a far parte della squadra LiberAria da poco, nemmeno un anno, e fin dai primi contatti con Alessandra e Giorgia, poi con la conoscenza di Mattia ed Elisabetta, sono stata colpita da un elemento (forse proprio ciò che mi occorreva in quel preciso momento): l’entusiasmo genuino, la voglia di fare non acora ingabbiata da schemi o pregiudizi. Fin da subito, quindi, mi sono ritrovata nello spirito della casa editrice la cui “missione”, chiamiamola così, è quella di cercare e pubblicare buoni libri, buone storie: quelle che noi, per primi, come semplici e appassionati lettori, cercheremmo e sceglieremmo in libreria. Attualmente sono tre le collane proposte al pubblico (Meduse, di narrativa italiana; Phileas Fogg, di narrativa straniera; Metronomi, di saggistica): il catalogo che LiberAria intende costruire è fatto di titoli che riescano a stimolare la curiosità, l’attenzione, libri intelligenti e intriganti ambasciatori di messaggi importanti che non dovranno perdersi nell’oceano delle mille pubblicazioni annuali. Ci siamo dunque posti come obiettivo quello di pubblicare testi “necessari”, che possano arricchire e dare qualcosa al lettore oltre ai mille stimoli a cui  siamo esposti quotidianamente. La conseguenza di tutto ciò è che nella scelta degli autori siamo attratti da chi dimostra di avere non solo talento nella creazione di storie, personaggi ed intrecci, ma anche un contenuto (pronfondo, di valore) da convidivere.

La rete Redattori Precari, assieme all’Ires-Emilia Romagna, ha denunciato la situazione tremenda in cui vivono molti addetti ai lavori editoriali. Che ne pensi di quel rapporto cartaceo che sta facendo il giro del web?

Che, purtroppo, rischia di rimanere confinato nel luogo in cui è nato: il web. Senza tenere in considerazione un altro, importante (in negativo) fattore: la sua bassa, bassissima diffusione oltre le anguste pareti del mondo editoriale. Lode ai Redattori precari che hanno denunciato un fatto gravissimo, che lo hanno reso argomento di discussione rivelando che la fragilità dei contratti e il lavoro malpagato è ovunque: ma in una situazione come quella che attualmente sta vivendo l’Italia, un momento drammatico per tutti fatta eccezione solo per alcune fasce privilegiate, il lavoro dei redattori invisibili passa inevitabilmente in secondo piano. Chi, tra  ottocento operai messi in cassa integrazione e cento di una casa editrice sfruttati e sottopagati, si occuperebbe dei secondi? Occorre un cambio di rotta generale e generico, non più rimandabile, che ci permetta di respirare, che risolva problemi divenuti insuperabili (l’affitto, la spesa, perfino l’acquisto di un farmaco): occorre, anzi, occorrerebbe allo stesso tempo un cambiamento a livello culturale che possa dare nuova dignità a tutti noi che lavoriamo con e per i libri, affinché ogni manufatto (romanzi, pane, case, scarpe) diventi importante, tutelando chi ogni giorno si mette in moto per dare forma a quanto di bello, indispensabile e poetico arricchisce le nostre giornate.

Ci parleresti di un libro a te caro fin dalle tue prime letture?

Non uno, ma due sono i libri che hanno segnato un punto di svolta nella mia vita: li considero finestre aperte su mondi nuovi che, a braccetto con la curiosità, mi hanno spinto ad indagare la realtà, a spingermi oltre conoscenze “domestiche”. La mia infanzia “è” Piccole donne, di Louisa May Alcott: credo sia stato il primo romanzo letto in assoluto, all’età di sette anni, riletto poi più volte, sempre fonte di meraviglia. Partendo dalla storia della quattro sorelle March mi sono dedicata via via ai grandi classici della fanciullezza: sempre pensando a Jo March, a come avrei potuto fare per essere, diventare come lei. La mia adolescenza, invece, è stata segnata da On the road, di Jack Kerouac: non ricordo come, a 13, 14 anni, arrivai a lui e a tutti i poeti e scrittori della beat generation, ma ricordo invece molto bene come quel libro (letto e riletto, inutile dirlo) costutuì un benefico choc: esistevano cose, persone, sentimenti, che non potevo immaginare né capire, ma erano lì, da qualche parte, e stava solo alla mia volontà decidere di lasciarmi andare per scoprirle fino in fondo.

 

Qual è l’episodio più  buffo che hai vissuto facendo questo lavoro?

Mail senza oggetto o addirittura senza contenuto, scambi di persona, nomi sbagliati, date errate: sono tante le cose che capitano a chi lavora su più fronti e con ritmi sempre serrati (pare, infatti, che la produzione di libri richieda a volte un carico di urgenza pari a quello presente in un pronto soccorso…), e chiedere scusa, o rettificare dove possibile, è sempre la soluzione migliore. Più che buffi, però, gli episodi che si verificano in casa editrice potrebbero essere definiti “stralunati”: dall’autore sconosciuto convinto di avere scritto il capolavoro del millennio e dunque stizzito perché incompreso, al giornalista maleducato e borioso (per carità, alla centesima telefonata sul capolavoro del millennio, questa volta già pubblicato, tutti lo diventeremmo), agli organizzatori di festival e manifestazioni che si devono riconcorrere come il Coniglio Bianco di Alice nel paese delle meraviglie. Per tutto questo occorre ragionevolezza, buon senso e la capacità di dare il giusto peso ad ogni cosa: il talento di non farsi scoraggiare per costruire invece qualcosa di grande giorno dopo giorno, con costanza, consapevoli dei propri limiti (da abbattere) e delle proprie capacità (da coltivare).

 

Cosa  diresti a chi non ha mai letto un libro perché attratto da altri medium culturali?

Prima di iniziare a fare questo lavoro l’avrei probabilmente “flagellato” a colpi di citazioni e consigli: ora, subissata come sono anch’io di stimoli, informazioni, titoli, non gli direi nulla, perché credo che ciascuno (parliamo di adulti, ovviamente, non di bambini) possa e debba scegliere il modo e il mezzo che ritiene più giusti per formarsi e informarsi, per crescere e scoprire. Chi non legge perde sicuramente moltissimo perché i libri sono quelle “finestre aperte” citate prima senza le quali la nostra vita diventa una casa un po’ più buia, fredda e umida. Purtroppo, però, molte persone per cui la letteratura è pane quotidiano navigano nella saccenza, nella vanità e nella superficialità. Ritengo dunque che un libro (“alto” o “basso” poco importa, purché sappia catturare: le distinzioni lasciamole agli snob) sia un mattone fondamentale nella costruzione della propria identità: ma se manca la calce dell’umanità, la cultura finisce per rimanere lettera morta.

 Caterina Morgantini* Ha conseguito la laurea in Filosofia presso l’Università di Bologna e frequentato il master per Redattori presso l’Università di Urbino. Ha lavorato per diverse realtà editoriali indipendenti contribuendo a lanciare libri di esordienti che hanno trovato il proprio spazio in un mercato editoriale sempre più saturo. Cura la rubrica “Ho un libro in testa” sul blog di Chicca Gagliardo. Al momento è Ufficio Stampa per  LiberAria Editrice.

Per saperne di più:  http://www.liberaria.it/

© Mario Schiavone per Inkistolio: Storie orticanti. RIPRODUZIONE RISERVATA DEI TESTI.

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