In memoria di Luis Sepulveda

Ciao Lucho:  un saluto al Maestro  Luis Sepulveda

Luis Sepulveda, ( Ovalle 4 Ottobre 1949 – Oviedo 16 Aprile 2020)è stato uno scrittore, giornalista, sceneggiatore, poeta e attivista cileno naturalizzato francese. Un uomo che ha vissuto prima in qualità di profondo conoscitore della Storia e poi come abilissimo creatore di Storie. Un individuo sensibile e curioso;  uno dei pochi di un tempo lontano, capace ancora di pensare a come scrivere storie immortali, fin dagli esordi, senza mai smettere di battersi. Combattere a faccia ben visibile contro quella terrificante dittatura che in nome di un solo principio (comandare a costo di uccidere, solo in nome del potere) voleva eliminarlo per sempre.

I grandi uomini, diceva un mio amico contadino, sanno sempre dove finisce il solco che porta l’acqua che nasce dal pozzo e va alle piante. Aggiungerei io che uno come Luis Sepulveda, Lucho per gli amici,  non sapeva solo dove portava il solco dell’acqua: era egli stesso l’acqua portatrice di vita. Una vita fatta racconto; che per tanti anni ci ha insegnato ad amare certi mondi narrativi, a sognare con la nostra testa e a non smettere mai di batterci per un mondo migliore.

In un mondo ideale, forse in uno di quei mondi rivoluzionari e illuminati che Sepulveda descriveva con grande capacità, oggi o domani (con librerie chiuse a causa di questo covid19) dovremmo uscire tutti di casa e andare a bussare alle porte delle biblioteche: per chiedere a gran voce di poter riprendere tra le mani libri come Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, Diario di un killer sentimentale, Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, Le rose di Atacama, Ingredienti per una vita di formidabili passioni e i tanti altri che ha scritto.

E nel dubbio Maestro, nel dubbio che lei ha avuto a proposito del suo dire: «La vita è un insieme di dubbi e di certezze. Ho un grande dubbio e una grande certezza. Il dubbio è se la letteratura abbia guadagnato qualcosa dalla mia militanza nella scrittura. E la certezza è che per colpa della letteratura il calcio cileno ha perso un grande attaccante.»,  ecco in merito a questa faccenda dia retta a un piccolo commesso di libreria di provincia: se il Calcio Cileno ha perso un grande attaccante, il mondo intero ha trovato un Immenso Pensatore.

Arrivederci Maestro, ci vediamo tra le pagine dei suoi libri; oggi domani e sempre.

Mario Schiavone

Ciao Pedro Lemebel

 

Il 23 gennaio scorso, dopo aver lottato per quattro anni contro il cancro, è morto lo scrittore cileno Pedro Lemebel. Quando avevo vent’anni, preso dal furore di quell’età, scrissi per una rivista letteraria di cui non ricordo più il nome una non-recensione basata sulla lettura del suo primo romanzo: “Ho paura torero”. Di notte sognavo di incontrare Pedro. Per leggergli la mia recensione e abbracciarlo. Scusami Poeta Pedro per questa non-recensione; e per quei sogni.
Buon viaggio. 

“Ho paura torero” del cileno Pedro Lemebel non è “solo” un libro; è un cuore di carta che pulsa di amore e lotta politica. In una Santiago sdrucita dal regime dittatoriale vive un travestito di quarant’anni, la Fata dell’angolo. La Fata è un personaggio incantevole che agisce col suo sguardo caleidoscopico sul vivere quotidiano, dando colore a una vita che non sempre è a colori. Il mondo in cui vive, piccola e  misera abitazione, è il palco su cui ben recita la parte di ricamatrice di stoffe per conto delle donne dei quartieri benestanti. Infatti, quando non ricama, nasconde casse di legno- pare pieni di libri, e a lei basta sapere questa verità per accettare le cose come stanno-  che diventano mobili per la sua abitazione. Non fa solo questo la Fata, che per amore del bel Carlos, un giovane studente del Fronte Patriottico, offre la soffitta del suo “regno” per le riunioni clandestine dei militanti. Nel desiderio di concedersi all’altro la Fata dal cuore dolce e dagli occhi vispi, trova la forza di correre innumerevoli rischi pur di rimanere fedele a quel gruppo di compagni e militanti. Riesce a farlo reinventando in modo tenero  sguardi e gesti di uno studente-militante a cui non riesce mai a dire no.

Tutto ha luogo in una Santiago lacerata dalle grida continue di sirene dell’autorità locale, a cui fanno eco i cori delle famiglie dei desaparecidos in cerca di giustizia. In questo piccolo inquietante teatro sociale si muove quella marionetta  che con le proprie mani impasta la torta amara del regime:  Pinochet. Il vivere quotidiano del dittatore è alimentato dai ricordi della sua infanzia e dai continui incubi che lo riconducono al mondo reale,  popolato esclusivamente  da  una moglie ipocondriaca che  riempie le sue orecchie di richiami isterici e paurosi. Quando non c’è la moglie a recitare filastrocche fatte di regole da seguire per condurre una vita sfarzosa, il dittatore Pinochet si perde nei suoi pensieri ascoltando  marce musicali di ogni epoca.

Quanto accade nella storia ben descrive la distanza fra quartieri poveri e quartieri ricchi di Santiago, una distanza che è sospesa sulle onde radio delle trasmissioni del regime: l’unica voce che racconta alla Fata la verità sulle azioni-reazioni che i giovani “studenti” disegnano per capovolgere le sorti del Paese.

Un  romanzo intriso di satira  che racconta, con stile e leggerezza, una terra in subbuglio. Un libro  che  regala voglia d’amore e di rivolta, mentre in sottofondo si sentono passi cadenzati di una marcia dittatoriale prossima alla fine.

Mario Schiavone

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