Il dono. Un racconto a puntate di Riccardo Poli.

Il Dono.

Ricordo perfettamente la prima volta che salvai una vita. Era una sera del 12 Luglio 1995. Non sono un dottore né un volontario né un eroe. Ho una specie di “dono” o come diavolo volete chiamarlo.  Io lo chiamo il Dono della scarpa. Quel giorno mi trovavo a camminare sul marciapiede che divide la statale dai campi. Camminando notai una scarpa da ginnastica ancora allacciata: se ne stava abbandonata sul ciglio della strada come quegli animali morti che fai fatica a capire se sono peluches o creature senz’anima.

Mi chinai per guardarla meglio e allungai una mano: mi colse subito una sensazione di malore. Bagliori scuri si allargavano davanti ai miei occhi fino, la vista a tratti rimaneva coperta. Mi misi a sedere, mentre un fischio acuto si alzava nelle orecchie. Persi i sensi. Quando riaprii gli occhi la scarpa non c’era più. Era già mattina: guardai il mio orologio che indicava le ore  09:06 del 10 Luglio 1995. Ero tornato indietro di due giorni. Mi guardai attorno prima che il panico facesse la sua parte. Un ragazzo in tenuta da jogging correva poco lontano da me. Dall’altezza in cui mi trovavo potevo vedergli le gambe, e le scarpe. Al piede destro indossava quella scarpa ginnica che poco prima avevo toccato. Correva insieme alla sua compagna che lo seguiva qualche metro dopo di lui. Si avvicinò per chiedermi se mi sentissi bene. Gli risposi di sì, mentre sentivo la mia bocca sempre più asciutta e il cuore che batteva ancora più forte. Fece per attraversare la strada poco convinto, ma accettò la mia risposta senza fare altre domande.

Guardavo lui e la sua ragazza, i loro piedi e l’asfalto che si allungava davanti a loro. Ma in mente avevo la scarpa ancora allacciata, da sola, abbandonata.

-Aspetta. Gridai verso di lui.

Tornò verso di me. In quel momento un’auto che veniva a tutta velocità su quella stessa strada perse il controllo  e andò a schiantarsi proprio dove si trovava lui qualche attimo  prima del nostro incontro, fermando la sua corsa contro un palo. La fidanzata si era gettata a lato della strada,  sbucciandosi braccia e ginocchia ma restando viva. Ma non fu quello il miracolo di quel giorno.

Il miracolo era la scarpa. E io che mi ero spostato nel tempo senza volerlo. Non trovai il modo di tornare avanti nel tempo. Passai quei due giorni in una sorta di bipolarismo umorale: prima euforico, poi nel panico. La scarpa mi rendeva felice per l’esperienza e preoccupato al tempo stesso.

Col tempo imparai: se trovavo qualche scarpa abbandonata cercavo un articolo di giornale o qualche notizia che riportasse di un incidente grave avvenuto non troppo tempo prima,( perché credetemi, rivivere alcuni giorni è davvero pesante, anche se si possono mettere a posto alcune cosette) e poi l’andavo a toccare. A volte non funzionava con alcune scarpe, forse perché erano solo state gettate. A volte, invece, studiando la dinamica dell’incidente, riuscivo ad evitarlo. Mi sentivo in missione. Fu la Jimmy Choo a fregarmi. Sapete quelle non sono scarpe qualunque. Le calzano donne di classe, donne con piedi curati. Non sapevo nulla di quella scarpa. Poteva essere un rischio enorme, oppure un perfetto buco nell’acqua. Ma chi butterebbe mai una scarpa così? C’era anche il rischio che qualcuno la raccogliesse per cercare l’altra e allora non avrei potuto salvare  nessuno: né una donna affascinante né qualche povero cristo. Ero solo, non potevo lasciar decidere ad altri. Quella era la mia possibilità.

Toccai la Jimmy. E poco dopo mi trovai lì nella nebbia fitta,  per ore. Non vedevo che a mezzo metro. Nebbia ovunque. Una voce che sembrava provenire dalle mi spalle, ma poteva essere di qualcuno o qualcosa che si trova ovunque, mi parlò. Sentii freddo al petto.

-Non lo farai più.-disse la voce.

-Chi sei? –domandai io.

-Sono l’amica di Jimmy la scarpa mortale. Lui si ferma da qualche parte. Lasciando che qualcuno cada nella nostra trappola. A volte qualcuno, per sbaglio, riceve il potere della scarpa mortale e finisce qui da me.

Tempo fa, prima di te, anche una ragazza era  caduta qui in questa dimensione.  Ora non accadrà più. Finirai altrove. Per sempre.

-Perché? Chi sei? Rispondimi!

Sentii un senso di torpore. Poi svenni di nuovo. Al mio risveglio ero qui: seduto dietro a questa bancarella di scarpe singole. Tutte ritrovate per strada. Da questo venditore ambulante che dice di essere mio padre. Qualcosa non torna.

Riccardo Poli.

(Continua…)

Riccardo Poli nasce a Parma il 21/03/1975. Il primo giorno di primavera, tanto per dirne una, e morirà probabilmente a Parma, si spera il più tardi possibile. La sua avventura nel mondo della scrittura inizia in età adolescenziale, quando trova la ragazza a Roma e comincia un rapporto epistolare che lo obbligherà ad inventarsi delle storie… con l’era digitale, affina la tecnica. Scrive su vari blog (di altri) riscuotendo un discreto successo, poi, essendo un gran lettore, prova a buttar giù qualche storia. E qui avviene il miracolo: le storie piacciono. Ci si mette con più impegno e comincia a frequentare alcuni corsi di scrittura . Detesta i libri di poesia ma si mette a scrivere poesie e qui avviene il secondo miracolo: le poesie piacciono! Con le poesie vince un paio di concorsi (un viaggio e una bottiglia di liquore lattiginoso anni 70) e qualche tempo dopo pubblica un libro per epika edizioni dal titolo “Mingherlino e i cani”. Per la rivista letteraria Post scripta pubblica un piccolo racconto dal titolo la Trota. Attualmente è pigro, ma sta scrivendo storie bellissime, fidatevi. Il suo ultimo libro pubblicato è questo: http://www.ibs.it/code/9788896829189/poli-riccardo/mingherlino-e-i-cani.html

5 domande a Margi de Filpo

Liza di Margi de Filpo (Epika Editore)
Liza di Margi de Filpo (Epika Editore)

“ Berlino è il mio paese inventato, una città fatta di uomini travestiti da conigli che regalano uova dipinte…” (Margi de Filpo*)

Scrivi e leggi tantissimo. Collabori, fra le altre attività, con Ivan Arillotta per la “manutenzione creativa” del blog letterario “unonove”. In fondo è tutto volontariato letterario: perché lo fai?

Unonove è nato come una scommessa fra me e Ivan, scommessa che fortunatamente ho perso io. Quando un autore ti chiama in piena notte, o il giorno di Natale, perché ha bisogno che tu legga qualcosa che ha inviato, riconosci il tuo stesso bisogno. I brindisi via Skype perché abbiamo avuto mille lettori unici in ventiquattro ore, sono momenti di condivisione sincera e impagabile: è esaltante. Esaltante quanto sapere che un “tuo” autore ha firmato un contratto di pubblicazione. Leggere è una passione che fa trascinare valigie spesso troppo pesanti, scrivere un bisogno che necessita di condivisione per essere soddisfatto. Non è volontariato, è fuga dalla solitudine.   

Sei cresciuta a Berlino, se non ricordo male. Io ci ho vissuto per un periodo. Città multiforme e molto attraente per chi scrive e legge. Potresti consigliarci almeno due libri recenti e interessanti ambientati in questa città tanto affascinante?

No, non potrei. Perché mi vengono in mente solo classici e sarebbe superfluo parlarne. Non sono cresciuta a Berlino, però. Nel sentirmi apolide che ti dicevo, concorrono vicende più complesse. Ho trascorso periodi lunghi della mia infanzia a Berlino perché mio padre lavorava lì. Ma ho cambiato spesso città, anche in Germania, tornando nel mio paese fra un trasloco e l’altro. Berlino è il mio paese inventato, una città fatta di uomini travestiti da conigli che regalano uova dipinte, e scuole occupate, con gli altoparlanti alle finestre. È la musica che ascoltava mio padre, il primo computer che ho visto, e le nostre valigie sempre pronte. Ma sono solo ricordi confusi di una bambina che oggi si sente romana e lucana.

Da cosa trai spunti per le tue storie?

Da ciò che vedo, sento e leggo. Spesso da un dettaglio, come è stato nel caso di “Liza”: i fogli piegati a metà descritti nell’incipit del romanzo erano, nella realtà, le lettere private di uno dei miei scrittori preferiti, che ho avuto l’onore di leggere una notte in un appartamento a Testaccio. Cosa c’entra la storia che ho raccontato? Nulla. Ma parte da lì, l’emozione di un momento che si “srotola” in una trama. Credo che scrivere renda più sensibili e attenti ai particolari, non il contrario. Chi scrive finge, eppure è onesto.  Spesso lo spunto è autobiografico, e non sempre il risultato è soddisfacente, nella stesura finale di me rimane poco, se non nulla. Quando riesco a sparire, il racconto funziona.

Ci sono storie da non scrivere mai secondo te?

Sì, storie che banalizzano argomenti delicati. Non tutti possono scrivere di tutto, in alcune situazioni l’intelligenza ci pone l’obbligo di astenerci. Poi, leggere romanzi scritti da giornalisti, da politici, da personaggi dello spettacolo, per me è spesso- non sempre, ma spesso – un’esperienza intimamente straziante. Alla fine il discorso è sempre lo stesso: se non hai nulla da dire a riguardo, taci.

Se la tua scrittura fosse un animale dotato di superpoteri, che animale sarebbe?

Mario, te lo ricordi Grisù, l’ultimo discendente dei Draconis, che odia la sua natura di draghetto perché quando si emoziona incenerisce tutto? Ecco: Grisù.

Margi de Filpo* è una scrittrice e vive a Roma, dove lavora in una agenzia di comunicazione. Collabora con la redazione di Leggere:Tutti. Ha scritto e scrive per diverse riviste letterarie molto attive in rete. Assieme a Ivan Arillotta coordina il blog di storie “unonove”.  Ha una vivace pagina fb su cui scrive status ironici e intelligenti, descrivendo quanto le accade ogni giorno. Il suo ultimo libro, appena uscito in libreria, è: Liza (Epika Edizioni). Per leggere alcune sue storie: http://www.unonove.org 

© Mario Schiavone per Inkistolio: Storie orticanti. RIPRODUZIONE RISERVATA DEI TESTI.

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