5 domande orticanti allo scrittore Luca Martini

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“…Certo, anche io parlo di cose piccole che stanno per esplodere, di situazioni “comuni”, di personaggi normali, ma cerco di farlo usando il mio mondo, tenendo a mente la lezione carveriana…” (Luca Martini*)

 

1)La tua scrittura ha una cifra stilistica che sembra rifarsi, in maniera sincera, al minimalismo carveriano. Molti lo imitano, pochi davvero sono “figli” di quel genere. Cosa ne pensi?

Penso che Raymond Carver sia stato il più grande maestro del racconto breve per una intera generazione, e che, anche nel mio caso, sia stato un vero padre putativo letterario. “Cattedrale” è uno dei capolavori della narrativa del novecento. Penso al contempo di essermi allontanato, di aver, letterariamente, “ucciso il padre”, se non altro per le atmosfere, tipicamente italiane (spesso bolognesi) dei miei racconti. Certo, anche io parlo di cose piccole che stanno per esplodere, di situazioni “comuni”, di personaggi normali, ma cerco di farlo usando il mio mondo, tenendo a mente la lezione carveriana ma costruendomi un mio stile, una mia voce, qualcosa che mi renda riconoscibile.

2) Quando lavori ai tuoi racconti in che modo procedi?

Non esiste un modo che sia lo stesso per tutti. A volte mi viene l’idea, mi siedo a scrivere e in mezz’ora è tutto pronto. Altre, invece, l’idea mi ronza per la testa per mesi, poi un bel giorno – vai tu a capire perché – senti che è ora di metterla su carta. Altre ancora in cui ci metti giorni per scriverlo e mesi per rivederlo, e revisionarlo, ed editarlo, e cambiarlo, per poi, spesso, tornare a una versione simile alla prima ma più asciutta, tagliente ed efficace. Cesellare e lavorare di bulino è la mia passione.

3) Quali sono, rispetto alla tua formazione, cinque autori per te imprescindibili?

Tra gli italiani, senza dubbio Carlo Emilio Gadda e Giuseppe Berto (credo che “Il male oscuro” sia un capolavoro assoluto, al pari dell’ “Ulisse” di James Joyce. Poi, senz’altro Philip Roth, “Pastorale americana” è uno dei più grandi affreschi letterari di sempre. Poi, John Fante (e non c’è tanto da aggiungere, la sua saga su Arturo Bandini è ancora nel mio cuore, oltre che nelle mie dita) e uno scrittore minore e poco noto, ma dalla qualità assoluta: Breece D’J Pancake, un autore morto suicida a 26 anni che ha scritto una sola raccolta di racconti, “Trilobiti”, edita in Italia da ISBN. Leggere per credere.

4)Quanto c’è di reale nel tessuto narrativo che componi per le tue storie inventate?

Tutto e niente. Non si inventa nulla, si ruba un po’ dappertutto modificando i finali o cambiando i protagonisti. Spesso c’è del mio, ricordi della mia infanzia, e molte volte ci sono cose talmente reali che se fossero scritte sarebbero considerate assurde e impossibili. Sicché, ogni tanto è meglio addolcire le storie della vita, per non rischiare di essere scambiati per autori di fantascienza. Il risultato è un verisimile, una realtà falsata, o una finta realtà, qualcosa però in cui tutti si possono riconoscere.

5) Stai lavorando a storie nuove? Vuoi anticiparci qualcosa rispetto al materiale narrativo a cui stai lavorando in questo periodo?

Con piacere posso dirti che il mio nuovo romanzo uscirà a gennaio 2019 per Morellini Editore, e si chiamerà “Mio padre era comunista”. Sarà una storia familiare, una saga che andrà dagli anni settanta al 2010 circa, e narrerà la storia di un bambino che cresce in una famiglia di comunisti e diventa, come una specie di legge del contrappasso, un capitalista rampante. E poi, a ottobre 2018, uscirà una antologia che sto curando, sempre per Morellini, insieme all’amica Barbara Panetta, ispirata alla grande parabola della radio. Si chiamerà “On the radio”, storie di radio, dj e rock’n’ roll. Siamo in 23, (tra i tanti, autori del calibro di Paolo di Paolo, Sacha Naspini, Patrizia Rinaldi, Luca Bottura, Sandro Campani, e dj celebri, come Maurizio Faulisi, alias dr Feelgood, e un racconto commovente scritto da Maurizio Solieri, storico chitarrista di Vasco Rossi, e Leo Persuader, dj di fama nazionale, anche lui legato a Vasco e agli anni di Punto Radio). Inoltre, ci sarà la prefazione di Eugenio Finardi e sento che ci divertiremo molto a portarla in giro…

Luca Martini *(1971), bolognese, è presente in numerose antologie e riviste letterarie, ed è autore di circa trecento poesie, monologhi teatrali, una settantina di racconti, romanzi e favole illustrate. Nel 2008 ha vinto il premio Arturo Loria per il miglior racconto inedito. Un suo racconto, tramite il progetto “Sorprese Letterarie”, promosso dalla scuola Holden di Torino, è finito tra le sorprese di migliaia di uova di Pasqua. Tra le sue pubblicazioni più recenti: il romanzo Il tuo cuore è una scopa (Tombolini Editore, 2014), la raccolta di racconti L’amore non c’entra( La Gru, 2015), la raccolta collettiva di memorie Il nostro due agosto (nero) (Tombolini Editore, 2015) e il libro per bambini Il coccodrillo che voleva essere drago (D Editore, 2017). Insieme a Gianluca Morozzi ha curato le antologie di racconti  Più veloce della luce (Pendragon, 2017) e Vinyl, storie di dischi che cambiano la vita (Morellini, 2017).

Cinque domande orticanti allo scrittore Gianfranco Di Fiore

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“…mentre Wallace, per me, entra nelle storie che scrive interamente, fin quasi a muovere diegeticamente i simboli e gli “oggetti” della narrazione, più di tutto sul piano analitico, dove più la sua scrittura si fa pensiero, nella mia di scrittura entra invece massimamente il mio mondo, i miei mondi, i linguaggi e i codici che mi appartengono…”

(Gianfranco Di Fiore*)

1)Fra gli altri autori che vengono in mente leggendoti, giusto per “complicare” le cose nei confronti del lettore comune, di recente ti hanno paragonato a David Foster Wallace. Che ne pensi?

Devo dirti Mario che la sensazione all’inizio è stata molto strana; non si può non essere ammiratori di Wallace, io stesso trovo sia uno scrittore unico e dal talento immenso. Tuttavia, se per la complessità della struttura narrativa, le diramazioni di tracce secondarie che spesso aggiungono dimensioni ulteriori al racconto, l’incombenza della filosofia che tiene insieme non solo i significati ma spesso agisce come propulsore di senso e di suono sui significanti, se per tutte queste cose c’è molta somiglianza con il metodo di scrittura di Wallace credo ci siano poi delle differenze, e ben venga che ci siano, e in particolare una: mentre Wallace, per me, entra nelle storie che scrive interamente, fin quasi a muovere diegeticamente i simboli e gli “oggetti” della narrazione, più di tutto sul piano analitico, dove più la sua scrittura si fa pensiero, nella mia di scrittura entra invece massimamente il mio mondo, i miei mondi, i linguaggi e i codici che mi appartengono, maggiormente nella dimensione esistenziale, dove a differenza di Wallace questa invasione non genera compimento o sistema ma quasi disperde o disgrega le parti della narrazione, creando delle strutture non finite in cui l’autore lentamente svanisce, lasciando spazio al lettore e a delle soluzioni che mai arrivano a essere matematiche o certe. A ogni modo, sapere di essere stato paragonato a David Foster Wallace è una delle cose più belle che mi poteva capitare, e di questo sarò sempre grato alla letteratura, e a chi mi ha fatto questo splendido regalo (Francesco Durante).

 2)Hai scritto un paio di libri. Con il secondo sei già finito tra i libri più citati in Italia (compresa la selezione iniziale verso il Premio Strega). Ora, fama a parte, ti andrebbe di dirci come hai lavorato al tuo ultimo libro?

Il mio lavoro di scrittura è molto complesso e lungo, per “Quando sarai nel vento” ho lavorato sei anni, con una piccola pausa di qualche mese. Avevo in mente di scrivere una storia che tenesse insieme i luoghi raccontati nel libro sin da quando ero piccolo. Italia, Argentina, Stati Uniti e Francia sono le nazioni in cui la mia famiglia è disseminata e così per anni ho cercato di capire che tipo di storia occorresse per tenere insieme questi territori così vasti e lontani fra di loro. Son partito, come sempre, dal protagonista e per un anno mi sono dedicato alla costruzione della sua biografia, prendendo nota quando capitava di alcune scene o situazione che avrei voluto poi sviluppare nel romanzo. Di solito non inizio mai una stesura, né di romanzi né di racconti, se non ho il titolo definitivo, e così ho lavorato alla struttura del libro per due anni. Prima ho scalettato scena per scena il romanzo, compilando un elenco molto lungo di note e riferimenti che avrei dovuto seguire durante la stesura, che invece ho iniziato dopo due anni, appena ho trovato il titolo. Prima della stesura però ho compiuto un viaggio di ricerca che è durato cinque mesi: tre a Buenos Aires e nella Pampa, un mese a New York e un mese a Parigi. Sul luogo ovviamente le suggestioni erano così tante che la struttura del libro si è ingrossata e solo al ritorno in Italia mi son accorto che il materiale era così vasto da doverci poi lavorare ancora quattro anni. In Italia invece, in Abruzzo, ho capito subito che lì il lavoro da fare era diverso: quella città, quei luoghi, non esistevano più e il modo migliore per poter rendere credibile L’Aquila e i suoi ambienti era quello di reinventarli, partire dai dati reali, da ciò che era rimasto ma facendo un lavoro diverso; si trattava di creare qualcosa che non c’era, ipotizzando sia la sua forma passata che una possibile forma futura. Il resto, come sempre accade, è frutto di studio, di ricorsi alla musica, al cinema, alla fotografia e ai racconti di vita vera.

3)Sei Cilentano. Vivi altrove. Viaggi molto, per lavoro e per passione. Quando e come trovi il tempo per fermarti a scrivere?

Negli ultimi anni, per scrivere con grande regolarità (di solito resto al computer per 12 o 13 ore al giorno) ho lavorato molto poco, ho curato dei progetti che potevo seguire da casa, a parte alcune produzioni a New York, poi sono stato rinchiuso in casa a lavorare al romanzo. Occupandomi di comunicazione a più livelli, riesco spesso a curare piccoli progetti nelle parti di tempo che dovrei utilizzare per riposare occhi e mente, ma per necessità a volte cerco di tenere in piedi le anime diverse della scrittura. Ad ogni modo, quando lavoro ad un romanzo lo faccio sempre e solo a Capaccio. Se scrivo ho bisogno del mio mare, di guardare Paestum dall’alto, insieme a Capri, Sorrento e la Costiera, e nei momenti di stanca fermarmi a respirare l’aria fresca della collina. C’è un forte legame tra le mie pagine e la mia terra. Ma questo non accade mai in estate, perché in estate non scrivo, o per meglio dire non lavoro mai alla stesura dei miei romanzi: al massimo, in estate, mi dedico alle correzioni, allo studio, alla fase di editing che è molto diversa e richiede meno energie.

4)Quali sono 5 autori imprescindibili nella tua formazione artistica?

Come sempre dico, i miei riferimenti paradossalmente sono molto più fuori dalla letteratura e dai libri. Il cinema, la musica, la fotografia e la filosofia sono i cardini principali attorno ai quali ruotano le mie idee e le mie riflessioni. Ovvio che leggo moltissimo, da sempre, e guardo anche molta tv che per me risulta essere un grande pozzo di suggestioni e notizie utili da far confluire poi sulla pagina. Se devo citare cinque autori fondamentali nella mia formazione ti dico: Robert Musil, William Faulkner, John Fante, J. G. Ballard, Peter Handke.

5)Stai scrivendo un nuovo libro? Ti andrebbe di anticiparci qualcosa?

Ho un romanzo già pronto, che è molto diverso da “Quando sarai nel vento”, una struttura molto semplice e una trama lineare che riguarda una coppia di giovani. Poi sto lavorando a un altro romanzo, anche se da qualche mese sono fermo per via della promozione di questo appena uscito, e si tratta di un libro interamente ambientato nella mia città, che è Capaccio-Paestum ma non posso dire di più: di solito non parlo mai di ciò che sto scrivendo prima che venga pubblicato.

*Gianfranco Di Fiore è nato nel Cilento -ad Agropoli- nel 1978. Ha lavorato come regista e come sceneggiatore. Il suo primo romanzo s’intitola  “La notte dei petali bianchi” (Laurana Editore). Con il libro “Quando sarai nel vento” (66thand2nd Editore) ha riscosso un notevole successo di critica e di pubblico. Se non scrive, suona. Oppure, tempo permettendo, viaggia per il mondo.

Per acquistare il suo libro e saperne di più sulla sua scrittura ecco un link prezioso:    https://www.66thand2nd.com/libri/245-quando-sarai-nel-vento.asp

Mario Schiavone

Come scrivere…

Questo ruscello scorre vicino la casa in cui sono cresciuto...e che oggi non c'è più. Ci andavo spesso d'estate. Pur non trovandovi mai forme di vita diverse dai girini ero sempre felice di starmene lì a toccare l'acqua e a giocare con i sassi.

…scrivere con le mani sporche, col terreno nero sotto le unghie, con il sangue sulle labbra spaccate, con gli occhi stanchi e pieni di lacrime, scrivere per mettere punti e virgole e spazi e leggere scie e percorsi in quegli spazi a volte vuoti da morire in un rumore bianco non udibile a volte così pieni da strabordare come un fossato affogato d’acqua dopo il temporale. scrivere provando tutto questo e facendolo provare a chi ti legge. altrimenti, che diavolo si scrive a fare?

Mario Schiavone

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