Il dono 3#. Un racconto a puntate di Riccardo Poli. (Terzo episodio).

 

 Respiro polvere, sbando e rallento coprendomi la bocca con la manica della camicia.  Non posso e non devo fermarmi, sono quasi arrivato nel luogo in cui mi sono “svegliato”, qualche minuto fa, anche se “svegliarsi” non è la parola adatta. Ciò che temevo sta già accadendo. Sento il motore della macchina andare su di giri, poi un urlo e un istante dopo, attraverso quella nebbia candida che a poco a poco si sta depositando, vedo volare scarpe, una seggiola dilaniata e quel che è peggio, un uomo. Si tratta del vecchio che dice di essere mio padre.

É un volo scomposto e incontrollato quello che ha fatto il vecchio. L’auto lha colpito in pieno e proseguendo la sua corsa si è andata a incastrare fra due arbusti di ginepro, quasi del tutto inclinata dalla parte del guidatore. Arrivato sul luogo dellaccaduto getto la bici a terra e corro verso il punto in cui è atterrato il vecchio. Lo trovo riverso a terra. Sangue che gli esce copioso dalla bocca fino a formare una pozza che il terreno arido e sabbioso con lentezza comincia ad assorbire.

Una terra maligna, avida di sangue…” è il primo pensiero che mi passa per la mente a quella vista, poi mi concentro sulle condizioni dell’uomo anziano. Non mi ci vuole molto a capire che è morto. Ha le pupille spente, la testa inclinata verso le spalle, tende all’indietro in maniera innaturale.

Gli tasto comunque il polso, per capacitarmi meglio. Non avverto nessun battito. Mi dico che non avrebbe senso chiamare soccorsi da qui. E poi, chiamare chi o cosa?

Non so chi sia questa persona, non so ancora dove io mi trovi e non sono affatto sicuro che vi siano ambulanze ( o altri mezzi di soccorso) nelle vicinanze. Ho voglia di mettermi a ridere, pensando che per un attimo ho sentito l’istinto di cercare il telefono cellulare nelle mie tasche. Un forte rumore proveniente dalla Balilla mi distoglie da quel pensiero. Le portiere sono incastrate, mentre l’individuo che la guidava sta cercando di uscire dalla macchina. Non sono per niente sicuro che abbia buone intenzioni, visto ciò che ha combinato allaltro pover’uomo che ha perso la vita. Intravedo la sua sagoma dimenarsi attraverso il lunotto sporco e incrinato.

Sento una forte scarica di Bam! Bam! Bam!.

 Sono pugni e calci, stavolta sulla portiera opposta, che si è aperta appena per poi richiudersi subito dopo per la forte inclinazione della vettura.

Guardo le gambe del cadavere qui davanti a me. La destra ha subito fratture in più punti: vedo un pezzo d’osso biancastro uscire dalla macchia di sangue che sporca i pantaloni lacerati. Calzava scarpe simili alle mie: una manca ed è scivolata via nell’impatto.

Devo fare ordine fra i pensieri che affollano la mia testa.

Sono qui, con un cadavere a pochi metri da me e un autista dalle intenzioni folli che forse vuole farmi fuori. Non ho ancora scoperto nulla del luogo in cui mi trovo e dove vede svolgersi tutto questo. Tutto è accaduto per colpa di quella stramaledetta scarpa. Provo a sedermi, mi lascio cadere sconvolto e privo di forze: mentali e fisiche. Quella dannata scarpa Jimmy Choo. Avei dovuto lasciarla dov’era. Avrei dovuto smetterla di raccogliere scarpe.

Dannazione! Ma…sì!”

É un pensiero fulmineo, forse un’idea bislacca quella che mi passa  per la testa, ma è tutto quello che posso fare.

Guardo di nuovo i piedi del tizio che dice di essere mio padre. Forse ancora posso sperare di comprendere quanto sta accadendo. Forse anche qui il mio dono può funzionare. Mi guardo intorno, cercando la scarpa che l’urto ha fatto schizzare dal piede del vecchio ma ne vedo a dozzine. Devo fare in fretta, ma la polvere che le ha coperte le rende tutte somiglianti: non è facile individuarla.

Stump!

La portiera è caduta via dalla macchina. Quel suono mi scuote: ho come l’impressione che trovare quella scarpa sia l’unica cosa sensata che io possa fare. E in fretta. Molto in fretta.

Mi getto carponi e comincio a toccare tutte quelle che vedo, ma non succede niente. Ne scorgo altre più distanti.

Mi precipito verso le altre ed eccola, la riconosco, una delle scarpe del vecchio. Sento dei passi alle mie spalle, sempre più vicini. La persona che guidava la macchina mi sta inseguendo. Mi si rizzano i capelli che scendono dietro la nuca e ho la sensazione che in pochissimo tempo sarà su di me. Mi tuffo allora verso la mia ultima speranza, come fa un giocatore di baseball verso la base. Le mie dita toccano il cuoio duro.

Chiudo gli occhi.

Non ho il coraggio di riaprirli. Forse mi ha raggiunto.  Una sensazione di freddo mi procura uno spasmo e forti brividi. Immagino il folle accanirsi su di me, pronto a colpirmi. Aspetto, senza il coraggio di muovere un muscolo.

– Me la vai prendere questa gazzosa? – dice il vecchio che afferma di essere mio padre.

Apro gli occhi e sono lì, ma tutto è in ordine. Siamo seduti, ognuno ai due capi del banchetto ricoperto di scarpe. Il vecchio mi guarda. Ignaro di tutto. Ignaro di ciò che gli è successo o meglio di cosa gli accadrà. Potrei impazzire, ma allo stesso tempo avverto una sensazione nuova, che fino a quel momento non avevo provato, almeno in questo luogo o in questa dimensione: mi sento potente. E per la prima volta, nonostante sia ancora in un posto sconosciuto in compagnia di persone mai viste, penso di avere qualche freccia al mio arco. Poter ricostruire una storia, seppur breve, non è cosa da poco. Ma devo giocarmela bene.

“Andrò a prenderti la gazzosa… -penso nella mia testa-… caro il mio Lazzaro resuscitato che ti spacci per mio padre, ma prima devo farti due domande. Sorrido e gli dico:

 – Ora vado, ma prima mi dai qualche soldo? Mi mandi sempre senza. Non facciamo abbastanza affari con queste scarpe usate?

– Figliolo – dice lui – da quando in qua ti preoccupi delle scarpe che vendiamo? Sai bene che non siamo qui per questo – e il suo sorriso che ancora non avevo visto, si allarga sotto l’ombra del grande cappello.

(continua…)

Riccardo Poli per Inkistolio:Storie Orticanti.

Se volete leggere i precedenti episodi de “Il dono” di Riccardo Poli, cliccate qui:

Episodio #2:  https://inkistolio.wordpress.com/2013/09/10/il-dono-un-racconto-a-puntate-di-riccardo-poli-episodio-2/

Episodio #1: https://inkistolio.wordpress.com/2013/08/02/il-dono-un-racconto-a-puntate/

Il dono. Un racconto a puntate di Riccardo Poli. Episodio #2

Porta accesso mondo parallelo

L’uomo che dice di essere mio padre è piuttosto anziano. La sua pelle è così scura che sembra cuoio invecchiato. Porta un cappello di paglia a tesa larga che gli nasconde parte della fronte e se ne sta seduto su un seggiolino di plastica all’altro capo del banco delle scarpe. Mi guarda in silenzio. Osservo la sua barba sul mento molto curata, così come le unghie delle mani che tiene incrociate appoggiandole sulle ginocchia.

-Ragazzo, hai intenzione di stare lì ancora un po’ a guardarmi? -domanda- me la vai a prendere questa gazzosa?

Mi alzo senza dire nulla, mentre dentro di me sento il cuore che batte e il cervello che punge nel cranio. Tutta la scena è inspiegabile, ma reagire muovendomi mi da’ tempo di capire cosa sta accadendo.

Guardandomi intorno comincio a cercare di comprendere dove ci troviamo io e il vecchio che ho di fronte: siamo alla fine di un sentiero in terra battuta che arriva fino alla strada qui in pianura e prosegue, fino a perdersi, in lontananza. Fra aspre colline abbandonate.

In lontananza mi pare di sentire un rumore di onde che s’infrangono sulla costa. Difficile da stabilire se è la mia testa a immaginarlo o se da qualche parte, qui in lontananza, c’è davvero una costa bagnata dal mare.

Non sono sicuro di nulla, in una realtà “diversa” come questa.

Quel viso anziano che mi osservava ha qualcosa di familiare, qualcosa che ora mi sfugge e che non riconosco. Sento di dovermi allontanare per cercare di capire cosa sta accadendo attorno a me. Dove mi trovo veramente?

-Senti, vuoi che muoia di sete?-dice indicandomi una vecchia bicicletta sgangherata abbandonata su un arbusto a pochi metri da noi.

-Torno subito- dico io, e non aggiungo altro prima di inforcare la bicicletta e risalire la strada verso quelle colline punteggiate di cespugli.

A volte mi guardo dietro, per controllare quella figura che mi osserva, immobile. Mi volto per capire, forse il vecchio vuole indicarmi se sto andando dalla parte giusta o se ho scelto una strada sbagliata.

A giudicare dall’inclinazione del sole e dal caldo potrebbero essere le due del pomeriggio. Tutto è cominciato con una scarpa abbandonata sul ciglio della strada. Ora, in questa dimensione, mi chiedo chi potrebbe mai passare da queste parti a un’ora simile per fermarsi a comprare scarpe spaiate in questo posto dimenticato da tutto e da tutti.

L’istinto mi dice di pedalare forte e fuggire via da questo luogo, ma al tempo stesso vorrei tanto scoprire dove sono finito e perché mi trovo qui mentre il tipo anziano che mi ordina di portargli qualcosa da bere si spaccia per mio padre.

Mio padre non è così, mio padre è…un uomo diverso.

Non ha capelli, è più giovane di quell’uomo, anche se a osservarlo bene pare avere qualche tratto somatico che lo accomuna all’uomo di questa dimensione.

Forse è un caso, ci sono tante persone che si assomigliano, sulla terra.

Ma questa è la terra o un suo pezzo visto allo specchio? Cazzo quella tipa, l’amica di Jimmy, ha parlato chiaro. Rimarrò qui per sempre, ma QUI dove?

Cosa aveva detto a proposito di un’altra ragazza, anch’essa con il dono della scarpa? Anche lei si sarà smarrita qui, in questo luogo? Nel frattempo ho superato la strada che costeggia la collina e al di là, ciò che vedo, mi fa sorgere un dubbio terribile. Vedo un piccolo villaggio di abitazioni in pietra dal tetto piatto. C’è un cavallo, legato a un recinto e una macchina che sembra, da questa distanza, una vecchia balilla. Sì, proprio una balilla. Due bambini le girano intono e la guardano ammirati. La vettura è parcheggiata sulla strada bianca, davanti all’ingresso di quello che sembrerebbe un bar, anche se l’insegna è dipinta sul muro sopra alla porta e recita: drogheria.

Mi lancio a tutta velocità lungo la discesa che mi separa dal villaggio e quando arrivo alla fine rallento e lascio la bicicletta ferma contro la staccionata. Poi entro nell’ombra fresca del locale. L’interno è buio. Sembra vendano qualsiasi cosa: forse è un emporio che vende un po’ di tutto a causa della mancanza di negozi in zona.

Ci sono due tavolini. Uno è occupato, ma la luce è così fioca che riesco a distinguere solo una sagoma. Dietro al bancone non c’è nessuno, e l’uomo seduto al tavolo non si è mai mosso.

Sarà lui il padrone della macchina parcheggiata fuori? – penso dentro di me prima di dire…

-C’è qualcuno?-

-Gazzosa per tuo padre?- si sente arrivare da una porta aperta, in un angolo della stanza. Forse l’ingresso dell’abitazione privata del proprietario.

-Beh, sì, ecco…sì. grazie-balbetto, preso un po’ alla sprovvista.

Mi conoscono? Come può essere possibile? – penso senza dire niente- Sono arrivato qui ora. Arrivato, piombato, caduto o come cavolo vogliamo metterla. Tutto questo è assurdo.

Il proprietario è uscito dall’ombra e avanza verso di me. Ha una bottiglietta di vetro in mano e dopo qualche passo la appoggia al bancone.

– Ricordati di portarla indietro, non fare come al solito- mi dice indicandola.

A questo punto mi rendo conto di non avere in tasca un soldo.

E di non essermi nemmeno guardato allo specchio che ora vedo di fronte a me qui nel locale. Ho una camicia bianca, macchiata in più punti, dei calzoni sorretti da un paio di bretelle, scarpe di cuoio grosse e lise.

Il droghiere, che ha già capito tutto dalla mia faccia poco convinta mi chiede:

– Metto sul conto?- chiede lui.

-Sì, grazie- dico io.

Annota qualcosa, con una matita, su un foglio di carta giallastra, ma non riesco a leggere cosa ha scritto.

-Grazie un corno!  Quando vi deciderete a pagare i vostri debiti voi due? Tutto il giorno là in fondo a raccogliere scarpe! Cosa ci fate dico io? Tu e quel lurido, quello stupido ladro di…-

-Mi porti un bicchiere di vino, per favore-

Dice la sagoma ferma nell’ombra, seduta dietro al tavolo.

Il droghiere si ammutolisce improvvisamente, poi borbottando frasi sconnesse si avvia nel retrobottega. La voce dell’uomo seduto al tavolo ha un che di autoritario e perentorio che non ammettere repliche.

Esco dal locale, nella luce accecante, salgo sulla bicicletta e torno da dove sono venuto. A metà percorso sento una macchina, e la vedo poi superarmi.

E’ la balilla e pare dirigersi verso l’uomo che dice essere mio padre.

Un brivido mi percorre e sbando, quasi finendo nel fosso che si allarga oltre il ciglio laterale della strada. Mi fermo ansimando. La polvere sollevata dall’auto in corsa mi avvolge e ho paura. Avverto pesante sulle spalle il presentimento che qualcosa stia per accadere. Qualcosa che ha a che vedere con l’uomo della Balilla, l’altro uomo che dice di essere mio padre e me stesso.

Qui e ora.

(continua…)

Per leggere il primo episodio di questo racconto:

https://inkistolio.wordpress.com/2013/08/02/il-dono-un-racconto-a-puntate/

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