Senso delle cose che si perde e persone che cambiano.

Ecce Homo 2013. dell'artista campano Raffaele Bova.

Ho vissuto, intorno ai venti anni d’età, per un lungo periodo della mia vita a Torino.

Lì ho frequentato una scuola di scrittura creativa (ci andavo ogni giorno, con dedizione) e una facoltà universitaria (sedevo tra quelle aule numerate e affollate molto raramente, con avvilimento e senso di vuoto interiore).

Nella scuola di scrittura, in compagnia di un gruppo di aspiranti registi sceneggiatori e narratori, ho appreso che le Grandi idee creative partorite in piena notte e di punto in bianco non esistono. Ciò che è possibile ritrovare, in un momento poco preciso, è una certa visione del mondo e del gesto creativo; però servono tantissime letture e una quantità innumerevole di ore investite nel pensare (prima) e scrivere (dopo).

C’era, nella scuola di scrittura che ho frequentato, un senso fraterno fra noi allievi che in vita mia ricordo di aver provato solo da piccolo, quando ero un boyscout.

Dopo quel senso di fratellanza utile a stare insieme, venivano l’amore e il rispetto per i classici della letteratura, del cinema, del teatro e del fumetto: nessuno di noi aspirante scrittore o regista avrebbe mai ignorato i “maestri” o fatto di tutto per “dimenticarli” nel vano tentativo di una ricerca artistica fallimentare sin dagli esordi.

Se scrivo tutto questo pur sapendo (forse) di potermi sbagliare, c’è una ragione: molte di quelle persone, ragazzi e ragazze di allora che ho sentito molto vicini a me in un senso unico e speciale di fratellanza, oggi sono irriconoscibili. Svolgono il loro lavoro dei sogni. Leggi i loro nomi sui giornali e sulle copertine dei libri. In cima alle sceneggiature e in coda ai titoli dei film finiti. Eppure, alcuni di loro, a guardarli bene, hanno perso quel senso della ricerca artistica che rendeva ognuno di loro un semplice e comune appassionato fruitore di narrazioni e probabile futuro autore di storie.

Perché accade questo? Non ho una risposta. Manca il senso del gesto, una direzione interpretativa utile a capire meglio il perché del fenomeno. Ed io? Io che ero uno di loro, cosa faccio oggi? Sto in silenzio. Seduto a guardare. Oppure scrivo, sempre in silenzio. Cercando di ascoltare gli ingranaggi della mente che cigolano alla ricerca di una visione possibile delle cose che mi circondano. Tutto qui.

 

L’antropolog(i)a che amo.

Oggi vi racconto di quando ero piccolo e in classe ci dicevano qualcosa come: “Oggi farete un Tema d’Italiano”. Poi l’insegnante andava alla lavagna e scriveva tre tracce. Io, per pura pigrizia, sceglievo sempre la traccia: “Parlo di…”. Così riempivo 4 mezze pagine di quadernone con pensieri davvero assurdi e storie- o frammenti di storie- che parlavano di episodi davvero incredibili. Allora abitavo in piena campagna. Credevo nel potere di oggetti  per me sacri e misteriosi: pietre di fiume, chiavi fabbricate per i portoni delle case antiche e altri oggetti – in apparenza- inutili come le forbici con la ruggine e i sacchetti di stoffa dotati di lacci. Molto tempo è passato da quando cercavo- e coccolavo- quegli oggetti. Non sono mai diventato un investigatore privato, né il capo di una squadra tipo “goonies”. Non ero come Chunk, ma poco ci mancava. Ora, tutto questo, non so davvero cosa possa c’entrare con questo blog letterario. Ovviamente la storia che volevo raccontarvi è un’altra, forse questa: sto cercando serenità mentale per completare i primi due capitoli di una nuova storia molto bella. Quindi, pure se non ho scritto per davvero, in queste ore ho raccolto tutte le idee e gli appunti e quello che mi serviva. Sapete cosa odio di più? I buoni propositi: non li rispetto mai. Sono pigro, l’ho scritto no? Ok. Non vi annoio: la verità è questa… a breve su questo blog un nuovo episodio del Racconto a puntate di Riccardo Poli. Poi cinque nuove domande a una scrittrice di poesie e… e…un racconto inedito di Ilaria Scarpiello. Per oggi, causa stanchezza mentale, dico “passo, a voi le carte”. No, neanche questa forse è  la completa verità: L’unica cosa vera che mi sento di dire… è questa: “Stellina mia ti amo tantissimo. Ho comprato la pazienza dei lettori e questo spazio web per dirtelo qui e ora. Tutto il resto conta, fino a un certo punto. Quindi, ora lo dico in modo chiaro, questo pensiero è per te. Solo per te. Da quando ero piccolo a oggi tante cose sono cambiate ma il colore dei tuoi occhi, il profumo dei tuoi capelli e l’odore del tuo amore è quello di sempre. W l’amore. Ps sento rumore d’uova, vengo in cucina ad abbracciarti. Meglio baciarti ora e subito, altrimenti non vale!”

Ps Chiedo scusa ai lettori. Da domani le comunicazioni letterarie di questo blog diventeranno di nuovo “normali” e ordinarie. L’amore, quando è vero, causa anche un cortocircuito.

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